PROBLEMI COMPORTAMENTALI: BAMBINI DA 3 A 5 ANNI
Nascosto
ANDARE ALL’ASILO
A questa età, di solito un bambino comincia ad andare all’asilo e inizia così a socializzare all’esterno della famiglia. Scopre un mondo molto più ampio, e si accorge che gli altri bambini sono una fauna molto interessante, che possono essere compagni di gioco molto divertenti, anche se a volte diventano pericolosi concorrenti, capaci di aggredire e far male.
Mano a mano che passa il primo anno di scuola, un bambino comincia ad avere amici del cuore, il cui giudizio e la cui approvazione diventano sempre più importanti, persino più di quelli di mamma e papà. L’amicizia, in altre parole, lo spinge all’esterno della famiglia, a calcare un terreno nel quale i genitori hanno meno cittadinanza.
Da ora e per sempre, i coetanei, almeno alcuni di loro, diventano i modelli dominanti da seguire e dettano gli stili da imitare. Che vestiti, che cartelle, che merendine portano a scuola? Ecco, quelli diventano gli oggetti più desiderabili. Anche la pubblicità, televisiva e non, comincia a influenzare fortemente i suoi gusti e le sue scelte, più dei consigli e delle raccomandazioni dei genitori. Le continue richieste degli oggetti pubblicizzati o visti a scuola possono diventare terreno di scontro molto frequente.
SENSO DI RESPONSABILITÀ
A tre anni un bambino è, di solito, meno capriccioso e più collaborativo rispetto a quello di due anni. Incomincia anche a sapersi mettere nei panni degli altri e spesso sembra sinceramente contento di far piacere alla mamma. Tuttavia, continua ad essere necessario controllarlo da vicino e ad impedirgli comportamenti che mettono a repentaglio la sua stessa incolumità e gli oggetti domestici. La sua tendenza a sporcare e mettere disordine dappertutto, inoltre, crea non pochi disagi. Diventa sempre più indispensabile abituarlo a collaborare per mantenere l’ordine e la pulizia, sapendo che egli resisterà molto all’idea di farlo.
Anche a questa età andare a letto lasciando la compagnia dei genitori e smettendo di giocare o guardare la televisione è un grosso sacrificio, che eviterebbe sicuramente, se lasciato libero di comportarsi come vuole. Cosa che rende necessaria un’azione determinata e coerente per imporre regole più sane.
Quando comincia ad andare all’asilo, si presentano altri problemi, legati ai conflitti con i compagni. Per esempio, può cominciare a litigare, a picchiare o mordere e non è per niente facile convincerlo a smettere. Allo stesso tempo comincia a chiedere sempre più insistentemente i beni di consumo “di moda”, dai giocattoli costosi, alle bambole più sofisticate, alle scarpe che portano i compagni, ecc.
Che ci piaccia o meno, insomma, comincia la battaglia dei soldi a cui avevo già accennato, che si protrarrà per tutto il resto della vita in famiglia e che costituirà parte importante della lotta di potere fra lui e i genitori.
Dai tre ai sei anni si può contare sulla capacità del bimbo di immedesimarsi nei genitori, ma non è giustificato credere che questo lo indurrà a rispettare le regole molto più volentieri di prima. Pur facendo leva sulla sua nuova capacità di comprendere, è comunque necessario continuare ad agire d’autorità quando le circostanze lo impongono. Inoltre, proprio perché può capire molte più cose, si può pretendere che cominci a sviluppare un senso di responsabilità sempre meglio definito.
NON ASCOLTA
Al contrario di quanto succede fra l’uno e i tre anni, in questa fascia d’età è più probabile che un bambino ascolti e che collabori senza arrivare a punte di ribellione e di sfida che possono far scattare nel genitore l’impulso a mollare uno sculaccione o uno schiaffo. Come abbiamo visto, infatti, nel frattempo si è maturata in lui una maggiore capacità di immedesimarsi nei problemi dei genitori e adesso è maggiormente in grado di prevedere le conseguenze di ciò che fa e di agire di conseguenza.
Fra l’altro, mano a mano che cresce, aumenta in lui un senso di orgoglio che lo porta a reagire con sempre più umiliazione all’oltraggio di una percossa. Perciò un genitore dovrebbe essere ancora più attento a controllarsi, quando ha l’impulso di colpire.
Rimangono, tuttavia, in questa fase e lungo tutto il corso della vita in comune, eventi eccezionali, in cui il livello della trasgressione o della sfida può essere tale da provocare uno scoppio d’ira più intenso, che giustifica l’impulso di ricorrere alle mani.
E l’esempio più ovvio è quando il comportamento del figlio sia gravemente irrispettoso verso i genitori o metta a serio rischio la propria o l’altrui incolumità.
È giusto incutergli timore?
E’ sicuramente ingiusto governare col terrore, facendosi ubbidire attraverso il semplice meccanismo che, in caso di trasgressione, il “suddito” viene condannato a pene corporali molto severe. Tuttavia, nelle democrazie più avanzate si deve comunque incutere timore ai cittadini, attraverso l’applicazione certa delle sanzioni, per poter ottenere il rispetto delle leggi e il pacifico svolgersi della vita civile.
Non si capisce perché questo principio non dovrebbe essere valido anche nell’ambito della famiglia. I genitori, a mio avviso, hanno il diritto-dovere di incutere nel figlio il giusto, sacro timore delle conseguenze che egli può soffrire se decide di trasgredire le regole che gli sono state più volte spiegate con chiarezza.
AGGRESSIVITÀ VERSO I GENITORI
Un bambino sa bene di non avere la forza fisica e i mezzi per vincere con i genitori. Tuttavia non esita a minacciarli, sfidarli o ricattarli, perché ha subito afferrato la loro esitazione a mettersi sul suo stesso piano e combattere con lui una guerra di potere. Frasi scimmiottate da loro come: “Stai attento, ti do le botte!”, (tenendo la mano alzata minacciosamente), o “Se tu non mi compri il tal gioco, io non vado a letto!” ecc. possono diventare espressioni abituali.
Se così riesce regolarmente a ottenere ciò che vuole o a innervosire il genitore fino a farlo esplodere, il bambino eccede nell’uso del proprio potere.
Un bambino di tre anni può imparare le cose più turpi, anche se le ha viste fare o sentite dire per una sola volta, a casa o fuori, magari dai compagni d’asilo. Le parolacce e gli insulti possono diventare una sua “specialità”, che tira fuori al momento opportuno, se si sente controllato o ostacolato dai genitori. Può arrivare persino all’estremo della sfida, sputando all’indirizzo della mamma o del papà. Se i genitori rimangono stupefatti e inerti di fronte a un comportamento del genere, il piccolo registra il risultato e può essere facilmente tentato di riprovarci.
Una coppia di genitori un po’ meno giovani della media mi ha riferito, per esempio, che il loro piccolo tiranno di tre anni e mezzo aveva preso l’abitudine di mandarli a quel paese con un bel “vaffa…” e, se contrastato ulteriormente, anche di sputar loro in faccia. Fino al momento in cui me ne hanno parlato, non avevano fatto altro che rimproverarlo blandamente, sperando che il bambino smettesse la cattiva abitudine. Senza successo, però. Questo è un altro esempio lampante di abuso di potere, oltre che di un’intollerabile mancanza di rispetto.
SCOPPI D'IRA
Gli strumenti di potere di un bambino di due anni rimangono quelli accumulati nel periodo precedente: pianti, urla, schiaffi, morsi, trattenere il respiro, vomito, sbattere la testa per terra o sul muro, chiamare “cattivi” o peggio i genitori, l’insistenza, ecc.
A questi si aggiungono le “tempeste di temperamento”, nelle quali si butta a terra, urla, si dimena, soprattutto se è in pubblico, dove sa che la scena crea imbarazzo e sortisce un effetto sicuro.
Nonostante l’ovvia mancanza di ragionevolezza, un atteggiamento del genere nel bambino di due anni è del tutto legittimo e ha anche una sua precisa giustificazione. A quest’età sta iniziando a sviluppare uno strumento molto importante di relazione, l’assertività, cioè la capacità di lottare per imporsi nel confronto con gli altri.