PROBLEMI COMPORTAMENTALI: NEONATO

Nascosto

QUANDO HA FAME

Già nei primi mesi esistono situazioni in cui una madre può preoccuparsi del fatto che il bambino mangia e cresce meno di quanto lei si aspetti. Tuttavia, nella mia esperienza, questo tipo di timore esplode in genere subito dopo l’inizio dello svezzamento, quando il piccolo, confrontandosi con gusti nuovi che possono essergli sgraditi e dovendo normalmente crescere meno, comincia a rifiutare spesso il cibo.   

Sebbene questo sia quasi sempre un fenomeno fisiologico, che non potrebbe mai provocare alcun danno al bambino, nella maggior parte dei casi viene percepito come un pericoloso “capriccio” per cui il povero piccolo comincia a subire una serie interminabile di angherie. 

La mamma (o la nonna, o chi per esse) crede che sia suo dovere cercare di convincerlo o, peggio, costringerlo a mangiare contro la sua volontà, quando egli non ha per niente fame, per di più cercando di imporgli gusti che non gradisce per nulla. 

Vedendolo poi resistere strenuamente a questo tipo di trattamento, la mamma si preoccupa e si arrabbia contro di lui, dandogli il messaggio di non essere per niente contenta di come è fatto, cosa che lo induce pian piano a farsi un’idea negativa di se stesso. Molti figli, soprattutto le femmine (che di solito hanno meno appetito dei maschi) finiscono per subire da questo momento e per anni atteggiamenti che non porteranno alcun risultato utile, ma che infliggeranno sofferenze gravi e danni alla personalità.

La soluzione? Semplice: se il bambino che sembra non mangiare abbastanza per il resto sta bene, non ha sintomi di malattia, viene trovato in buona salute dal pediatra, basta assecondare i suoi gusti e i suoi ritmi. Durante Per i trentacinque anni che ho svolto la mia professione di pediatra non ho mai visto un piccolo che, per un “capriccio”, non si sia nutrito bene e non sia cresciuto in maniera sana e adeguata, semplicemente seguendo i propri istinti.

AFFRONTARE LA NOIA

Quando parlo ai genitori di un bambino di due o tre mesi alloggiato nella sua sediolina ad osservare, succede quasi sempre che, dopo pochi minuti di conversazione, il piccolo cominci ad agitarsi e a piagnucolare. Ed è quasi automatico che uno dei due genitori si alzi e vada a fare qualcosa per calmarlo, fino a prenderlo in braccio e a portarlo in giro per la stanza, cosa che di solito funziona bene. Il piccolo si guarda intorno e spesso sorride. Non ha bisogno di nulla di concreto. Si sta solamente annoiando e desidera che qualcuno lo intrattenga, che gli faccia qualcosa per riempire il suo tempo.

Io, intanto, sono costretto a parlare a un genitore in movimento, che mi dà l’impressione (a dire il vero, irritante) che mi stia ascoltando distrattamente, costringendomi ad alzare la voce e a ripetermi. 

Ovviamente questo comportamento replica ciò che accade sempre a casa (vedi mai che si possa far piangere un bambino senza che qualcuno dica “Ma non lo prendi? Non vedi che piange!?”) e conferma la ben nota difficoltà che i genitori, soprattutto di un primogenito, hanno a tollerare il pianto del piccolo senza intervenire subito a sedarlo. 

Eppure, a seconda del modo di reagire a queste “chiamate” del piccolo, si gioca un’altra partita importante nel suo condizionamento, quella che lo porterà ad essere più o meno capace di gestire la noia e i tempi “morti”. Mi spiego.

Mettiamo che i genitori, visto che stanno parlando con me (o stanno mangiando o conversando con un amico, o accudendo un altro figlio), decidano di ignorare le proteste del piccolo e continuino le loro attività come se niente fosse. In altre parole, mettiamo che si comportino con lui come se fosse l’ennesimo” nato.  Il bimbo, dopo alcuni tentativi non riusciti di attrarre la loro attenzione, magari dopo aver strillato di frustrazione per vari minuti, di solito si acquieta e comincia a guardarsi intorno, ad osservarsi le mani, a tentare di mettersele in bocca, a fare mulinello con le gambine ecc. In sintesi, comincia a “inventarsi” qualcosa per riempire il proprio tempo.

Qualcuno potrebbe interpretare questo comportamento come l’ovvio segnale che il piccolo si sia “rassegnato” all’”abbandono”. A me sembra, invece, che questo “abbandono” gli dia l’opportunità di acquisire pazienza e capacità di tollerare la frustrazione derivante dalla momentanea mancanza di stimoli. In altre parole può permettergli di imparare a gestire la propria noia.

IL BAMBINO VIZIATO

Il condizionamento che avviene nei primi due o tre anni di vita influenza profondamente l’atteggiamento di un figlio anche in seguito, quando egli sarebbe più pronto a sviluppare una maggiore attenzione ai bisogni e ai sentimenti degli altri. Il fatto che i confini e le regole non gli siano stati imposti fin dall’inizio, può spingerlo al tentativo di prevalere sempre. Così rischia di arrivare all’età adulta senza imparare a tenere in considerazione le esigenze e difficoltà degli altri e credendo che tutto gli sia dovuto e tutto gli debba essere permesso. In due parole, rischia di crescere “viziato”.

Niente confini, niente sicurezza. La mancanza di confini e la consapevolezza di non rispettare le regole che i genitori tentano di imporgli dà al bambino un senso di incertezza. Il loro atteggiamento insoddisfatto e scontento di lui, malgrado i cedimenti, lo fa sentire “cattivo” e indegno di approvazione.

ABITUDINI DI SONNO

E’ importante innanzitutto capire perché, nelle prime settimane un bambino abbia bisogno di svegliarsi frequentemente durante la notte. Ciò succede soprattutto perché in questa fase iniziale, per potersi nutrire adeguatamente, ha bisogno di attaccarsi al seno a intervalli di non più di tre o quattro ore. 

Se le cose vanno normalmente, però, egli può mano a mano ridurre il numero delle poppate e fare intervalli sempre più lunghi. Quasi tutti i bambini entro il terzo mese aumentano una delle pause fino a sette-otto ore e più, anche se non necessariamente durante la notte. In altre parole, il ritmo sonno-veglia si avvia abbastanza presto a diventare simile a quello di un bambino più grande, con l’unica differenza che un piccolo nei primi mesi non ha la necessità di dividere le sue attività in diurne e notturne. Per lui non c’è alcuna differenza; almeno finché i genitori non gli danno il segnale preciso che invece la differenza c’è e tentano di metterlo a letto a dormire a una certa ora, che sia comoda per tutta la famiglia.  

Ed è proprio su questo punto che generazioni di mamme papà e psicologi si sono impantanati in ragionamenti, a mio avviso, privi di buonsenso. 

La ragione per cui un bambino piccolo spesso piange “disperatamente” quando si cerca di metterlo a dormire ad un’ora prefissata, non è che si sente abbandonato, o almeno non principalmente per questo. Il suo problema è invece una grande frustrazione, perché si trova di fronte a un fatto contrario alle sue abitudini, che lo spinge a combattere per mantenere lo status quo. 

Si capisce perché di fronte a questa contrarietà, se le sue proteste iniziali sono ignorate, va su tutte le furie e piange di rabbia disperata. Sarebbe veramente strano che egli si acquietasse subito, senza protestare.  

Tuttavia, bisogna considerare che il condizionamento che un bambino subisce nelle consuetudini di sonno in questa fase mette un’ipoteca importante sulla qualità del riposo familiare per mesi, se non per anni. Proprio per questo i bambini nordeuropei vengono normalmente abituati da piccolissimi ad addormentarsi da soli e ad un orario prestabilito, ignorando le loro proteste iniziali. E non si può certo dire che questa regola li renda tutti insicuri e infelici. E’ utile sapere infine che fra i tre e i cinque mesi, proprio perché non vi sono ancora consuetudini troppo radicate, non è affatto difficile stabilire quest’abitudine, seguendo poche regole semplici, analoghe a quelle che ho descritto nel paragrafo precedente.  

  1. Si sceglie un orario “ragionevole” per mettere il piccolo a letto, considerando le esigenze di tutti i componenti della famiglia
  2. Si crea un rito, in cui la mamma (o il papà) gli fa una breve coccola, gli dà un bacio e gli canta una canzoncina (o fa suonare una musica con una melodia semplice). In altre parole si rende anche questa esperienza per lui facilmente riconoscibile.
  3. Si chiude la luce e si esce dalla stanza.

E’ quasi automatico che molti bambini si mettano immediatamente a piangere e che talvolta continuino a farlo per varie decine di minuti. D’altra parte, è garantito, che, se si resiste alle loro proteste, alla fine smettono e si addormentano, anche se con alcuni “ritorni di fiamma” nelle prime ore della notte. In genere, dopo un paio di sere di resistenza, un bambino di quest’età si abitua ad addormentarsi da solo, senza più protestare. Poi dorme davvero, riposando meglio di prima… e permettendo al resto della famiglia di riposare.

Sono convinto che, nello sforzo costante per conquistare un giusto equilibrio di potere con il proprio bambino, stabilire presto la regola che la notte è fatta per dormire sia un precedente fondamentale, che fa da battistrada all’imposizione di altri confini.