PROBLEMI COMPORTAMENTALI: PRIMI ANNI DI SCUOLA
Nascosto
DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ
Se un bambino non ha voglia di studiare, o non apprende malgrado i suoi sforzi, bisognerebbe innanzitutto escludere che faccia parte, com’era il caso di Virginia, di quel 4/7 per cento di bambini che soffre di un disturbo dell’apprendimento chiamato Deficit d’Attenzione e Iperattività, o ADHD.
Il disturbo si manifesta con una forte difficoltà a concentrarsi e ad apprendere e con una tendenza a muoversi costantemente e freneticamente in bambini che, per il resto sono sani e intelligenti.
Questo complesso di sintomi è stato individuato come un disturbo organico, che non ha niente a che fare con la volontà del bambino o con il comportamento dei genitori e va curato con terapie comportamentali e, se necessario, anche farmacologiche.
A parte il Deficit d’Attenzione e Iperattività, ci possono essere numerosi motivi psicologici, o sociali che alterano le prestazioni scolastiche di un bambino e queste vanno diagnosticate e curate adeguatamente.
Ma come possono agire i genitori per prevenire queste difficoltà o gestirle quando sono già in atto?
A mio avviso, dovrebbero innanzitutto creare a casa le condizioni più favorevoli perché i figli possano studiare senza essere troppo disturbati e distratti (per esempio, niente TV o giochi elettronici nella stanza dove si studia).
Se il figlio, nonostante questo, non riesce a studiare con profitto, sarebbe opportuno fare pressioni sugli insegnanti perché segnalino il problema all’attenzione dello psicologo scolastico. Meglio ancora, se possibile, far valutare il bambino al più presto, prima che il problema diventi un circolo vizioso, da uno specialista che si intenda di problemi dell’apprendimento.
Bloccarlo su una sedia contro la sua volontà, per costringerlo a studiare, tormentandolo ogni giorno, come ho visto fare fin troppe volte, lo porta soltanto ad essere sempre più dipendente e sfiduciato, oltre a non raggiungere alcuno scopo durevole. In poche parole, per questo tipo di problema (che, vi ricordo, fa parte di quelli che abbiamo chiamati conflitti di attribuzione di responsabilità) l’uso del potere non è né efficace né giusto e degenera facilmente in abuso.
NON ASCOLTA
Al contrario di quanto succede fra l’uno e i tre anni, in questa fascia d’età è più probabile che un bambino ascolti e che collabori senza arrivare a punte di ribellione e di sfida che possono far scattare nel genitore l’impulso a mollare uno sculaccione o uno schiaffo. Come abbiamo visto, infatti, nel frattempo si è maturata in lui una maggiore capacità di immedesimarsi nei problemi dei genitori e adesso è maggiormente in grado di prevedere le conseguenze di ciò che fa e di agire di conseguenza.
Fra l’altro, mano a mano che cresce, aumenta in lui un senso di orgoglio che lo porta a reagire con sempre più umiliazione all’oltraggio di una percossa. Perciò un genitore dovrebbe essere ancora più attento a controllarsi, quando ha l’impulso di colpire.
Rimangono, tuttavia, in questa fase e lungo tutto il corso della vita in comune, eventi eccezionali, in cui il livello della trasgressione o della sfida può essere tale da provocare uno scoppio d’ira più intenso, che giustifica l’impulso di ricorrere alle mani.
E l’esempio più ovvio è quando il comportamento del figlio sia gravemente irrispettoso verso i genitori o metta a serio rischio la propria o l’altrui incolumità.
È giusto incutergli timore?
E’ sicuramente ingiusto governare col terrore, facendosi ubbidire attraverso il semplice meccanismo che, in caso di trasgressione, il “suddito” viene condannato a pene corporali molto severe. Tuttavia, nelle democrazie più avanzate si deve comunque incutere timore ai cittadini, attraverso l’applicazione certa delle sanzioni, per poter ottenere il rispetto delle leggi e il pacifico svolgersi della vita civile.
Non si capisce perché questo principio non dovrebbe essere valido anche nell’ambito della famiglia. I genitori, a mio avviso, hanno il diritto-dovere di incutere nel figlio il giusto, sacro timore delle conseguenze che egli può soffrire se decide di trasgredire le regole che gli sono state più volte spiegate con chiarezza.
PROBLEMI CON I DISPOSITIVI ELETTRONICI
Ed ecco una “droga” che in pochi anni si è fatta strada con prepotenza fra le consuetudini dei ragazzi, quella che gli americani chiamano “Electronic Gaming Addiction”, cioè “tossicodipendenza da giochi elettronici”. Cominciata già molto prima dei
dieci anni con l’abitudine a smanettare con gli apparecchi elettronici di piccole dimensioni, all’inizio dell’adolescenza si orienta sempre di più sugli svaghi da computer, su Internet (social networks, porno e poker online inclusi).
Tutti questi passatempi procurano una soddisfazione immediata di certi impulsi elementari, come una forte curiosità, o il desiderio di “vincere”, “controllare”, “dominare”, sentirsi “bravo” ecc. Perciò hanno gioco facile su altre attività che richiedono maggiore impegno fisico o intellettuale e non danno una gratificazione immediata, come dedicarsi a uno sport, andare ad un museo, imparare a suonare uno strumento o leggere un libro. Fra l’altro gli svaghi elettronici stimolano le stesse parti di corteccia cerebrale più sensibili all’influenza delle droghe, creando col tempo una condizione sovrapponibile a una vera e propria dipendenza da sostanze chimiche.
Gli studi sistematici condotti finora su questo problema rivelano che la “Internet Addiction” (“dipendenza da Internet”) colpisce fra il 10 e il 15 % dei ragazzi, con serie conseguenze sull’andamento scolastico, oltre che sull’equilibrio emotivo e sui rapporti familiari. Ma quali sono le cause maggiori di questo nuovo tipo di dipendenza?
Mi ero soffermato più volte sulla noia e su come gestirla opportunamente fin dai primi mesi di vita. Ebbene, a me sembra che sia proprio qui uno dei nodi di questo problema. E’ molto meno probabile che la “internet addiction” si impadronisca di un bambino che abbia imparato fin dai primi anni ad adattarsi a ritmi lenti, a trovare dentro di sé modi e risorse per riempire il proprio tempo. E’ evidente, poi, che il buon esempio da parte dei genitori sull’uso del tempo libero sia un altro fattore fondamentale. Non ci si può aspettare che i figli, invece di giocare al computer, leggano dei libri o facciano dell’esercizio fisico se noi stessi stiamo sempre su Internet, o seduti davanti a un televisore.
Ricordiamo, inoltre, quanto ho scritto a proposito di una particolare difficoltà che certi bambini/ragazzi hanno a concentrarsi in attività di studio, cioè dell’ADHD. Bene, se per tutti è difficile gestire la noia e impegnarsi in attività che richiedono applicazione e pazienza, per un bambino con l’ADHD la cosa diventa un’impresa quasi impossibile, vista la sua grande difficoltà a concentrarsi. Ed è perciò che può essere spinto molto più degli altri a ingaggiarsi in attività che offrono facile soddisfazione, come sperimentare con le droghe o dedicarsi, appunto, ai giochi elettronici.
Un altro disturbo che può portare all’”Internet addiction” è la cosiddetta “social phobia” cioè la fobia per i rapporti sociali, chiamata anche “timidezza patologica”. E’ facile capire come un ragazzo che ha una grande difficoltà nei rapporti con i coetanei, una fobia ad esporsi allo scambio sociale, possa rinchiudersi nella propria stanza e diventare vittima dei giochi elettronici o della navigazione internet.
Infine, anche la depressione, o una forte mancanza di autostima può indurre un ragazzo a dedicarsi in modo maniacale a questo tipo di attività, sempre perché con essa trova sollievo temporaneo al proprio disagio.
In ogni caso, mentre la dipendenza da giochi elettronici (come la Nintendo Switch, Play Station o i giochi da computer) è di gran lunga prevalente nei maschi, quella dai Social Networks (come Facebook, Tik Tok e Instagram) colpisce egualmente ragazzi e ragazze.
I rimedi?
Mettiamo dunque che mio figlio “Matteo” si trovi in una situazione di questo tipo e che io voglia aiutarlo a non diventarne sempre più dipendente.
Innanzitutto mi chiederei se non ci sia una causa di fondo, ben identificabile, a spingerlo a questa abitudine. Per esempio, se Matteo avesse sempre avuto difficoltà a concentrarsi nello studio e con il profitto scolastico, mi rivolgerei ad un centro per la diagnosi dei disturbi dell’apprendimento e in particolare dell’ADHD.
Se mi rendessi conto che, invece, Matteo è affetto da una timidezza estrema, o mi sembrasse depresso, o privo d’autostima, cercherei di convincerlo ad affidarsi ad una persona o ad una struttura dedicata alla salute psicologica degli adolescenti.
Ma, a prescindere da eventuali interventi a lunga scadenza, cosa potrei fare per gestire il problema nell’immediato? Ebbene, ricordiamo che un intervento di pura autorità non solo non funziona, ma può addirittura provocare l’effetto opposto. Cioè, se tentiamo di limitare l’uso del computer con troppa severità potremmo trovarci di fronte ad una ribellione difficile da gestire. Meglio procedere con pazienza e sistematicità.
- Avviamolo verso altri interessi. Cerchiamo di distoglierlo dai dispositivi elettronici e proponiamogli attività sportive di gruppo, iscriviamolo ai boyscout, incoraggiamolo a sviluppare un altro hobby come il disegno, la scultura, la lettura ecc.
- Monitoriamo l’uso dei dispositivi e diamogli limiti precisi. Impediamogli di chiudersi nella sua stanza e permettiamogli di usarlo solo per un tempo determinato e in una parte comune della casa, dove possiamo osservarlo.
- Non diamo il cattivo esempio. E’ ovvio che, se noi stessi non facciamo che navigare in Internet, non possiamo pretendere che lui si dia dei limiti.
- Rivolgiamoci a una persona fuori della famiglia. I figli spesso non prendono sul serio ciò che diciamo noi genitori e sono portati ad ascoltare di più una persona “autorevole” esterna, come un amico di famiglia, un insegnante, un istruttore di educazione fisica, il pediatra. Tentiamo questa strada e, se non funziona, non abbiamo timore a rivolgerci ad uno psicologo.
- Non lasciamo passare troppo tempo. Spesso ci affidiamo al caso, al tempo che passa, sperando che nostro figlio abbandoni una cattiva abitudine, perché è duro affrontare ogni giorno lunghe discussioni con lui. Tuttavia, se si lascia che le cose vadano da sé in questa fase della prima adolescenza, il problema potrebbe assumere proporzioni davvero serie e diventare estremamente difficile da risolvere in seguito. Dopo i quindici anni, infatti, un figlio esce sempre di più dal nostro controllo e diventa sempre più ribelle a qualsiasi tentativo di imposizione. Meglio affrontare la dipendenza dai dispositivi elettronici (come qualsiasi altra dipendenza) il prima possibile e con tutti i metodi disponibili, dando a nostro figlio l’impressione che siamo davvero determinati a trovare insieme a lui una soluzione.
STUDIO E RISULTATI SCOLASTICI
Se il profitto scolastico è molto scadente
Un breve periodo di profitto scadente a scuola è un fatto normale nell’adolescenza e, quando si verifica, bisogna soltanto verificare con un figlio che non ci sia dietro una forte inquietudine, magari una delusione d’amore, e cercare di aiutarlo a uscirne. Se la cosa si protrae e rischia di compromettere un intero anno, si deve cercare una soluzione più complessa, che includa anche parlarne con uno specialista.
Se il ragazzo ha già avuto problemi di apprendimento in passato, potrebbe essere necessario rivolgersi ad uno specialista in questo campo, piuttosto che a uno psicologo, che andrebbe invece consultato se le difficoltà sembrano essere più di ordine emotivo. Delle gravi difficoltà con la scuola, infatti, possono nascondere problemi seri, inclusa una forte depressione, fenomeno comune in adolescenza.
Se manifesta la decisa volontà di lasciare la scuola
Può succedere che un ragazzo perfettamente sano fisicamente e mentalmente abbia una spiccata idiosincrasia per l’istituzione scolastica e che non possa assolutamente sopportare l’idea di continuare a frequentarla per ancora alcuni anni. In questo caso, dopo aver provato più volte a convincerlo a continuare, anche con l’aiuto di uno specialista, è controproducente intestardirsi a spingerlo ad andare a scuola “a scaldare il banco”.
Tuttavia, prima di permettergli l’abbandono definitivo, bisogna discutere con lui su quale sarà la sua attività dal momento che non va più a scuola e fare dei passi concreti per prepararla. Una cosa da rendergli assolutamente chiara è che non starà a casa a dormire, ma che dovrà scegliere un mestiere o un corso di apprendimento e poi cominciare a lavorare al più presto. Di solito i ragazzi che fanno questo tipo di scelta con l’approvazione dei genitori si sentono più soddisfatti di sé e realizzati, mentre, se costretti a rimanere nell’ambiente scolastico, finiscono per essere delusi e infelici.