PROBLEMI DI SALUTE: BAMBINI DA 3 A 5 ANNI
Nascosto
SINDROME DELL’ASILO: Sempre ammalato
SINDROME DELL’ASILO: SEMPRE AMMALATI
Durante gli ultimi 2 anni del COVID19 ho avuto molte meno visite per i bambini nei primi 4-5 anni, che si sono ammalati molto meno di raffreddore, tosse, bronchiti e otiti.
Inizialmente ero sorpreso di questa rarefazione delle visite a studio, ma poi mi sono reso conto della ragione.
La ragione era che, per effetto del COVID19 e della conseguente periodica chiusura dei nidi e delle scuole, i bambini piccoli non sono andati a scuola e quindi non sono stati messi nelle condizioni di essere contagiati dai virus e batteri che girano normalmente a scuola.
Infatti, quando i bambini cominciano ad andare al nido o all’asilo e si mescolano ad altri bambini (con gruppi da 10 e più) le possibilità che uno di loro contragga un raffreddore e lo trasmetta agli altri è una possibilità molto elevata. Questo perché i bambini tra di loro si toccano e si mettono le mani in bocca e quindi attraverso la saliva e il contatto i virus girano molto più facilmente e velocemente.
Per sindrome dell’asilo quindi mi riferisco al fatto che i bambini che vanno al nido e a scuola contraggono, per i motivi di cui sopra, le malattie molto più frequentemente.
Queste infezioni delle prime vie respiratorie di per sé non sono pericolose, ma per alcuni bambini (soprattutto i più piccoli e predisposti), ci possono essere delle complicazioni dovute al sopraggiungimento di alcune infezioni batteriche come le otiti, le bronchiti, e raramente le polmoniti.
SINDROME DELL’ASILO: Infezione alle orecchie
Quando il genitore sospetta la presenza di un’otite, è essenziale che questa ipotesi sia verificata dal pediatra con l’aiuto dell’otoscopio (lo strumento che permette di guardare direttamente il timpano). Premere sotto il lobo dell’orecchio per vedere se il piccolo prova un evidente fastidio o dolore non è un test attendibile e non può essere usato per una diagnosi di questo disturbo.
Conseguenze e complicazioni dell’otite media
Mi rendo conto di dedicare all’otite media un’attenzione che può apparire spropositata. Tuttavia, a parte la grandissima frequenza con la quale si verifica e che già di per sé giustificherebbe molto interesse, ciò che rende questa malattia degna di nota sono le conseguenze pratiche che può avere.
Pensate per esempio che ogni volta che si forma un po’ di secrezione nell’orecchio medio, la capacità uditiva diminuisce almeno in parte e che si attenua ancora di più se, come accade nella otite acuta, l’orecchio si riempie di pus. Se il fenomeno si protrae a lungo, come succede nelle otiti ricorrenti non curate, si può verificare un ritardo decisivo nell’acquisizione del linguaggio. Inoltre, un bambino che non sente bene non riesce a comunicare efficacemente con i coetanei, cosa che rende piuttosto disagiata la sua vita di relazione.
Una situazione del genere, trascurata a lungo, può influire sullo sviluppo della sua personalità, non importa se alla fine l’udito viene recuperato integralmente, come succede nella maggioranza dei casi. C’è poi una piccola percentuale di bambini nei quali l’otite, se non curata, diventa cronica e può causare danni permanenti alla funzione uditiva.
Un altro motivo che rende le otiti degne di una particolare attenzione è la possibilità, per fortuna rara, che l’infezione si diffonda alle strutture vicine. Così l’osso della mastoide (la piccola protuberanza dura che si trova dietro il padiglione dell’orecchio) può essere attaccato dal pus e rendere necessario un intervento di drenaggio. Tale complicazione, la mastoidite, si manifesta con un gonfiore e un arrossamento doloroso dietro l’orecchio. Un’altra complicazione dell’otite media che oggi, dato l’uso degli antibiotici, è diventata oltremodo rara consiste nel diffondersi dell’infezione verso l’interno del cranio fino alla formazione di un ascesso cerebrale.
La cura
È vero che una buona parte delle otiti più lievi guarisce spontaneamente e che perciò, in una buona parte dei casi si può assumere un atteggiamento di “attesa vigile”, usando semplicemente un antidolorifico a base di ibuprofene o paracetamolo. Tuttavia, specialmente per i bambini più piccoli e per quelli affetti da otite ricorrente, in particolare quando l’infezione è accompagnata da febbre, dolore persistente, perforazione, la cura antibiotica è inevitabile.
Il motivo per cui oggi i pediatri sono diventati più cauti nel prescrivere antibiotici è che l’uso indiscriminato che se n’è fatto nei decenni passati ha provocato la selezione di batteri sempre più resistenti a questi farmaci, fenomeno molto pericoloso, perché ha reso talvolta impossibile la cura di infezioni gravi.
Gli antibiotici, quando prescritti, devono essere somministrati per tutto il periodo necessario perché l’otite guarisca completamente, il più delle volte per circa dieci giorni. Spesso il farmaco usato inizialmente deve essere cambiato in corso d’opera proprio perché, per i motivi appena spiegati, il batterio manifesta resistenza. Data la grande probabilità di ricadute dell’otite, specialmente nei bambini che frequentano l’asilo, l’uso degli antibiotici può essere necessario con una certa frequenza nella prima infanzia. Consoliamoci pensando che questa fase dura di solito al massimo un paio di anni e che in seguito la necessità di antibiotici diventa molto più rara.
La prevenzione delle otiti
Spesso per prevenire le otiti ricorrenti viene consigliata l’asportazione delle adenoidi, accusate di ostruire l’imbocco della tromba di Eustachio e favorire pertanto il ristagno delle secrezioni nella cassa del timpano. Ciò è vero solo di rado e pertanto è mia abitudine consigliare questo tipo di intervento molto sporadicamente. Un’altra operazione consiste nell’impiantare dei tubicini di plastica nel timpano così da tenere aperta una via di comunicazione dell’orecchio medio con l’esterno, che sostituisca la tromba d’Eustachio temporanea[1]mente ostruita. Per quanto mi riguarda, anche questa operazione va riservata ai casi più gravi e ribelli a qualsiasi terapia medica, in quanto col tempo ha rivelato limiti e complicazioni.
Oggi molti esperti di otite ricorrente ritengono che la prevenzione più efficace e meno rischiosa sia la somministrazione quotidiana di sulfamidici o antibiotici in piccole dosi per alcuni mesi. Questa profilassi è giustificata solo nei bambini che abbiano avuto quattro, cinque otiti di seguito e si può protrarre per il periodo di massima vulnerabilità (cioè durante i mesi invernali mentre il piccolo frequenta l’asilo). Il vaccino anti pneumococcico che si somministra oggi a tutti i lattanti, ha diminuito la frequenza delle otiti dovute al pneumococco, ma sembra che siano aumentate quelle causate dall’Emoflus infuenzae, lasciando così le cose più o meno nello stato precedente.
(Estratto dal Libro “Curare tuo figlio”)
SINDROME DELL’ASILO: Bronchite
SINDROME DELL’ASILO: BRONCHITE
C’è un’abitudine abbastanza diffusa a chiamare erroneamente bronchite o “bronchitel1a” qualsiasi tosse insistente con un po’ di catarro. Questi sono in genere i sintomi di una banale infezione delle prime vie respiratorie, che è destinata il più delle volte alla guarigione spontanea. È importante evitare questa confusione e imparare a riconoscere i sintomi di una bronchite o di una polmonite per segnalarli al pediatra tempestivamente.
Innanzitutto, in queste malattie la tosse è molto più frequente e stizzosa del solito e si accompagna spesso a conati di vomito che fanno pensare alla pertosse. Il bambino poi è abbattuto e, se è abbastanza grande da potersi esprimere chiaramente, se ha la polmonite si lamenta di un dolore insistente al torace o alla parte alta della pancia. Dato che in queste malattie l’aria non può penetrare facilmente fino agli alveoli polmonari, si verifica di solito un’evidente difficoltà a respirare.
Si nota cioè un aumento della frequenza e della profondità del respiro: il bambino ha l’affanno, come un asmatico. Spesso, avvicinando l’orecchio alla sua bocca o al suo torace, si sente un fischietto o un gorgoglio a piccole bolle.
La presenza di una febbre più o meno alta non è un sintomo costante e certa[1]mente non è il più importante. Ciò che invece dà un’idea della gravità di queste infezioni è l’intensità dell’affanno e del malessere generale.
La cura
La terapia della bronchite e della polmonite consiste essenzialmente nell’uso di un antibiotico appropriato, che sia cioè capace di uccidere il batterio che causa l’infezione. Per evitare ricadute è opportuno che la cura duri almeno dieci giorni, anche se produce presto un netto miglioramento nel giro di un paio di giorni e si sarebbe perciò tentati di smetterla prima.
È mia abitudine somministrare gli antibiotici per via orale, dato che questo metodo è altrettanto efficace e certo meno spiacevole delle iniezioni, spesso usate senza motivi validi. Oltre all’uso degli antibiotici è bene assicurarsi che il bambino affetto da una di queste infezioni beva molti liquidi, così che le secrezioni si possano fluidificare e possano essere espulse con maggiore facilità.
Un umidificatore in funzione per qualche ora al giorno contribuisce a ottenere lo stesso scopo. Insomma, tutto sommato, la bronchite e la polmonite, malattie che con il loro nome risvegliano vecchie paure, sono curabili con una certa facilità grazie all’azione degli antibiotici. Quando però il bambino affetto da una di queste infezioni si trova nei primissimi mesi di vita o comunque la difficoltà respiratoria è veramente grave, diventa necessario il ricovero in ospedale per far fronte alle complicazioni che si possono verificare in queste circostanze.
(Estratto dal Libro “Curare tuo figlio”)
SINDROME DELL’ASILO: Ossiuri
Gli Ossiuri sono una infestazione di vermi bianchi lunghi 4-10mm, piuttosto comune.
Questi vermi vivono nel retto dove pasteggiano e si moltiplicano, fuoriuscendo anche nella zona perianale, dove lasciano delle uova microscopiche non visibili ad occhio nudo.
L’infestazione da ossiuri provoca molto prurito e il bambino quindi spesso si gratta, prelevando le uova con le mani. I bambini, come sappiamo, si mettono le mani in bocca, toccano le mani ad altri bambini, permettendo a questi vermi di trasferirsi facilmente sugli altri.
La diagnosi può essere fatta cercando di analizzare da vicino, la pelle del bambino vicino all’ano o sulla biancheria intima dopo circa 2 o 3 ore da quando si è addormentato.Altrimenti può essere diagnosticato con un esame delle feci o con lo “scotch test”. Questo sistema consiste nell’applicare un adesivo trasparente nella zona perianale per qualche secondo e procedere quindi all’analisi attraverso un microscopio.
VACCINAZIONI ED EFFETTI COLLATERALI
VACCINAZIONE ED EFFETTI COLLATERALI
Perché è importante vaccinare i vostri figli?
Il fine principale che abbiamo noi genitori è di far star bene I nostri bambini, farli sopravvivere. Li nutriamo, vestiamo, proteggiamo.
Se i bambini fossero esposti a tutte le malattie a cui erano esposti 50 anni fa, senza la protezione dei vaccini, farebbero la stessa fine dei bambini di allora.
Per esempio, le epidemie di difterite causavano moltissime morti, come anche la pertosse (tosse convulsa). Oggi la gente non sa cosa è la difterite, non ci sono persone con la pertosse. Non si vede più questo fenomeno perché già due generazioni sono state vaccinate e quindi questi organismi non sono più in circolo nell’ambiente, tutti sono immuni alla pertosse.
Poco tempo fa si moriva di meningite causata da meningococco, pneumococco, emofilo influenze, il morbillo, la parotite.
La rosolia uccideva, ma causava anche tanti bambini con gravi deformazioni se la madre contraeva la rosolia durante la gravidanza. Oggi questa cosa non ci sente più perché le madri sono state vaccinate da bambine, 20-30 anni fa contro la rosolia.
Il batterio del tetano è per terra, sui chiodi arrugginiti. Se entra nella ferita di una persona non vaccinata da sintomi neurologici fino alla morte molto straziante. Quando io ero bambino si sentiva di tanti bambini che morivano di tetano.
La poliomielite deformava tanti bambini nel passato. Solo di morbillo in Italia morivano un migliaio di bambini all’anno.
I vaccini sono la ragione della sopravvivenza di milioni di bambini nel mondo che sarebbero invece morti di queste terribili malattie.
Tabella vaccini
La tabella che puoi scaricare qui sotto è quella consigliata.
I vaccini si fanno al più presto per diminuire I rischi. Fino a quando un bambino non è stato vaccinato, rischia di contrarre la malattia vera e propria.
L’unica ragione per ritardare la vaccinazione è se il bambino è molto malato (“40 di febbre”), se ha una malattia in corso importante (non un raffreddore o una malattia banale).
Tra i 3 e i 5 anni i vaccini da fare sono richiamo contro difterite, tetano e pertosse (DTPa)
Eccovi una tabella riassuntiva. Ma, ATTENZIONE, questo è soltanto uno schema che personalmente ritengo valido e consiglio ai miei pazienti. Le mie indicazioni, tuttavia, devono essere prese con flessibilità. Altri pediatri vi daranno indicazioni diverse, spesso perfettamente legittime.
Ma perché tutti questi vaccini (e quelli che si verranno continuamente aggiungendo nel futuro)? La risposta è semplice: i vaccini sono la contromossa più ovvia ed efficace all’assalto delle infezioni nell’uomo.
Tuttavia non mancano i detrattori dei vaccini, persone male informate, o “esperti” improvvisati, o esponenti di medicine alternative, che diffondono voci infondate e irresponsabili. Tutte le statistiche dimostrano, infatti, che flagelli come il vaiolo, la difterite, il tetano e la poliomielite (malattie che nessuno di voi, sono certo, ha mai visto) sono praticamente scomparsi proprio per merito dei vaccini.
Vorrei infine smentire altre voci infondate che possono indurvi a ritardi ingiustificati nel completamento delle vaccinazioni o a creare disagi aggiuntivi ai vostri bambini.
Al contrario di quanto affermano tali voci d’estate la vaccinazioni non vanno in vacanza. Il caldo cioè non è una ragione per sospenderne la somministrazione, un raffreddore o persino una cura antibiotica non sono buone ragioni per rimandare un vaccino.
Solo una malattia febbrile acuta lo è , i bambini prematuri possono e devono essere vaccinati alla stessa età dei bambini nati a termine in una sola visita si possono fare molti vaccini contemporaneamente, senza che ciò renda gli effetti collaterali più intensi o tolga efficacia all’immunizzazione o rappresenti “un colpo” al sistema immunitario e un ritardo anche lungo nel fare una dose di un certo vaccino non mette a rischio l’efficacia della copertura, ma la ritarda solamente. Perciò non implica affatto ricominciare la vaccinazione dall’inizio, ma soltanto di proseguirla dal punto in cui ci si è fermati.
REFLUSSO
Questo video ti aiuterà a capire il significato di sintomi e reazioni del bambino.
DIARREA
Dopo i tre anni si può parlare di diarrea anche se le scariche sono meno di cinque o sei al giorno, ma le feci devono essere acquose e non solo un po’ molli. Il bambino che ha davvero la diarrea, poi, presenta spesso anche la febbre e appare “malato”, cioè perde la sua solita vitalità. Che le feci siano gialle, verdi o marroni ha scarsa importanza. Il colore, infatti, dipende dalla quantità della bile che le feci contengono e da come questa viene modificata dai batteri intestinali, il che varia normalmente per motivi fisiologici.
COSTIPAZIONE (STIPSI ESTREMA)
Se il vostro bambino già più grande soffre di stitichezza da anni e ha sempre delle feci dure e voluminose da espellere, astenetevi comunque dall’uso delle supposte o clisteri. Se ha una ragade anale che di tanto in tanto sanguina, fategli degli impacchi con acqua calda e bicarbonato un paio di volte al giorno e poi spalmatevi della vaselina, facendola andare anche un po’ all’interno dello sfintere. Questo aiuterà le feci dure a uscire senza causare troppo dolore. 5. Inoltre, anche in questo caso usate il malto o il lattulosio, aumentandone la quantità progressivamente fino a quando non ottenete il risultato di ammorbidire bene le feci. Il piccolo, visto che non lo costringete più a evacuare forzatamente con i mezzi a cui ho accennato, impara piano piano che è meglio evacuare appena avverte lo stimolo.
Per molti dei piccoli affetti da questo problema che ho visitato anche a cinque o sei anni, è bastato che i genitori smettessero di preoccuparsi e di tormentarli, perché tutto si mettesse a posto “miracolosamente”. Se invece vostro figlio è un adolescente che ha raggiunto lo stadio del ragazzo descritto all’inizio di questo capitolo, ho paura che dovrete ricorrere all’aiuto di uno psicologo perché la situazione si possa sbloccare.
ALLERGIE ALIMENTARI
Mi capita molto spesso di visitare per la prima volta bambini che sono stati tenuti a dieta per mesi o anche per anni con motivazioni inconsistenti.
Magari perché hanno manifestato alcune chiazze di pelle rossa e ruvida o perché hanno qualche episodio sporadico di vomito o perché presentano due o tre scariche di feci molli al giorno o perché non sembrano crescere adeguatamente.
L’obiettivo di queste diete sarebbe non solo l’eliminazione dei sintomi ma anche quello della “prevenzione” di allergie future. Infatti ai genitori viene spiegato che, se uno di loro è un “soggetto allergico” (cioè ha qualche sintomo di allergia di qualsiasi tipo), il loro bambino potrebbe esserlo egli stesso e bisogna fare perciò ogni sforzo per evitare che sviluppi allergie gravi nel futuro.
Così, in forza di questo tipo di motivazioni, le diete vengono quasi sempre decise e mantenute malgrado l’inesistenza di prove convincenti delle presunte intolleranze e malgrado sia evidente che le restrizioni alimentari non portano alcun cambiamento nei sintomi. Il sacrificio insomma varrebbe la pena, perché può comunque salvare il bambino da un futuro rischioso.
Imparate a difendervi dalla faciloneria
Seguendo questi criteri, in pratica una percentuale spropositata (20-30% secondo le mie stime) di bambini italiani viene dichiarata allergica e messa prima o poi a dieta per lunghi periodi di tempo.
L’esperienza mi dice che, non solo tutto ciò è ingiustificato e costoso, ma che è profondamente dannoso dal punto di vista psicologico.
Quando vedo i genitori di questi bambini infatti, mi salta subito agli occhi la preoccupazione e l’incertezza che li domina. Fra l’altro, ciò che li tiene di più nel dubbio e nello sconforto è proprio il fatto che le diete non cambiano per niente i sintomi per i quali avevano consultato il pediatra, cosa che li porta a temere che il loro piccolo possa essere affetto da un problema grave e incurabile.
Si fa presto a capire come questi sentimenti spingano i genitori a comportamenti che pesano molto e negativamente sul benessere psicologico del bambino. Soprattutto li rendono eccessivamente protettivi nei suoi confronti, provocandogli così un senso di fragilità e di precarietà che potrebbe incidere profondamente sulla sua personalità e per sempre.
È innanzitutto per questo motivo che penso sia importante che la gente impari a difendersi dalla faciloneria con la quale nel nostro Paese si fa diagnosi di allergia alimentare e si costringe dei bambini perfettamente sani a diete costose e inutili.
I veri sintomi di allergia alimentare
Vediamo quali sono i sintomi che possono giustificare sul serio il sospetto di allergia alimentare, secondo i criteri considerati validi dal Comitato sulle Allergie dell’American Academy of Pediatrics.
I sintomi possono essere di due tipi:
- Acuti, cioè possono verificarsi nelle ore immediatamente dopo l’assunzione del cibo responsabile. In questo caso è in genere molto facile accorgersi del legame di causa-effetto fra l’assunzione del cibo e i sintomi conseguenti.
- Cronici, cioè possono svilupparsi lentamente, nel corso di settimane o mesi. In questo caso è facile cadere in errori di interpretazione e in eccesso di diagnosi.
Sintomi acuti
Sintomi gastrointestinali: I primi sintomi che in genere si verificano quando un bambino è allergico a un cibo sono, dopo pochi minuti o al massimo entro un paio di ore, un vomito violento e a getto e, subito dopo, una diarrea profusa, esplosiva, spesso contenente sangue. Questi sintomi in genere si attenuano nel giro di qualche ora o di una giornata al massimo dall’assunzione del cibo.
Sintomi cutanei: sempre entro pochi minuti o poche ore, compare sulla pelle in varie parti del corpo e su una superficie rapidamente sempre più estesa (non quindi solo sul viso o altre zone limitate di pelle) un’ urticaria che provoca molto prurito.
Sintomi respiratori: talvolta il bambino, oltre ai sintomi appena descritti, può anche manifestare un attacco di rinite allergica, con numerosi starnuti e profusa secrezione nasale o anche una forte difficoltà respiratoria dovuta a un broncospasmo causato dalla reazione allergica, sintomo che fa rassomigliare la reazione a un attacco di asma bronchiale.
Anafilassi: se i sintomi descritti qui sopra vengono ignorati o interpretati erroneamente e il bambino mangia di nuovo e più volte il cibo incriminato, può manifestarsi un vero e proprio shock anafilattico che può causare una grave perdita di pressione del sangue, fino all’arresto cardiaco e alla morte.
Cibi più frequentemente implicati nel causare sintomi acuti di allergia alimentare: Latte vaccino, uova, pesce, soia, arachidi, nocciole.
Sintomi cronici
Sintomi gastrointestinali: invece del vomito e diarrea acuta, a carico del sistema gastrointestinale si può verificare:
1. Enteropatia allergica
Caratterizzata da tutti i seguenti sintomi insieme:
- vomito persistente
- diarrea con più di sei scariche al giorno
- dermatite atopica (vedremo cosa vuol dire fra poco)
- segni chiari di denutrizione dovuti al danno intestinale provocato dall’allergia, danno da dimostrare con una biopsia intestinale
- un pallore molto intenso, dovuto a una forte anemia causata da perdite di sangue microscopiche dalla mucosa intestinale danneggiata
- edema in varie parti del corpo, dovuto a una perdita di proteine dall’intestino danneggiato e che fa spesso pensare erroneamente a una malattia renale.
È importante ribadire che, perché il medico sia giustificato nel sospettare l’enteropatia allergica, bisogna che ci siano tutti questi sintomi insieme e bisogna dunque evitare di confonderla o con altri disturbi non allergici, come il reflusso gastro-esofageo (caratterizzato solo da rigurgiti e vomito), o con la diarrea non specifica (una sindrome innocua caratterizzata da cinque sei scariche di feci molli al giorno in bambini che, per altro, stanno bene). Bisogna poi che la denutrizione di cui sopra non venga decretata seguendo l’impressione di una mamma preoccupata perché il piccolo non prende peso al ritmo che lei vorrebbe, ma che sia un vero arresto del peso e della statura e che il bambino appaia francamente anemico.
2. Colite allergica
La colite allergica è una vera e propria colite con scariche frequenti (più di sei sette al giorno) e contenenti sempre sangue. Piuttosto rara, la colite allergica è quasi sempre dovuta al latte vaccino e si manifesta quasi sempre in bambini al di sotto dei due anni.
Sintomi cutanei:
Le manifestazioni cutanee croniche delle allergie sono quelle che generano il numero maggiore di errori ed eccessi di diagnosi. Spesso infatti, come ho già accennato, si attribuisce ad allergia alimentare alcune macchie ruvide e rosse isolate qua e là sul corpo, macchie dovute il più delle volte a fattori irritativi del tutto estranei all’allergia.
Ma cosa si può considerare invece come un segno cutaneo vero di allergia? Vediamo.
Esiste un disturbo cutaneo chiamato “dermatite atopica” che può essere considerato un segno di allergia alimentare, ma solo in una limitata percentuale dei casi. Intanto come si manifesta la dermatite atopica, spesso diagnosticata a sproposito? Per poter dire che un bambino ha questa malattia della pelle ci devono essere cinque condizioni:
- L’arrossamento deve estendersi su buona parte della superficie del corpo ed essere particolarmente intenso nella piega del gomito e dietro le ginocchia (quindi non solo sul viso, sulle mani e sulle gambe).
- Deve causare un prurito intenso e costante, che porta il bambino a grattarsi ossessivamente.
- La pelle perciò diventa squamosa e ruvida un po’ dappertutto, sintomo definito “lichenificazione”.
- Questi sintomi devono tutti essere cronici, cioè presenti ininterrottamente da settimane o mesi.
- Devono esistere quasi sempre nella famiglia persone che erano affette dagli stessi sintomi o che soffrono di fenomeni allergici molto seri, come asma bronchiale cronico. Seguendo questi criteri si può chiamare “atopico” solo dal 5 al 12 per cento dei bambini e non, come succede nel nostro paese, circa la metà dei bambini.
Inoltre, come ho accennato sopra, anche la presenza di una vera dermatite atopica non è necessariamente il sintomo di allergia a un cibo. Anzi, le statistiche più recenti dimostrano che soltanto circa il 30% dei bambini affetti da questo disturbo hanno un’allergia alimentare dimostrabile.
Ma, visto che i sintomi cronici e specialmente quelli cutanei sono facilmente equivocabili, quali sono le prove per dichiarare che un certo bambino è effettivamente allergico a un determinato cibo ed eliminarlo dalla sua dieta?
Quando si verificano i sintomi acuti che ho descritti sopra la diagnosi in genere è ovvia, perché i sintomi seguono immediatamente l’assunzione del cibo e sono inequivocabilmente legati ad esso.
Prova in doppio cieco col controllo del “placebo”
Il dilemma si pone invece quando i sintomi sono cronici, soprattutto se sono limitati alla pelle, ed è perciò più difficile legarli all’assunzione del cibo. In questo caso è solo la cosiddetta prova in doppio cieco con il controllo del placebo che può essere considerata una conferma certa e definitiva della diagnosi.
Ecco come si fa questa prova.
Quando un pediatra, sulla base dei sintomi che ho appena descritto, ha un valido motivo di sospettare che il piccolo è allergico a un determinato cibo, può decidere di provare ad eliminare dalla dieta del bambino quel cibo e solo quello, non dieci alimenti, come viene spesso fatto senza alcuna discriminazione.
Dopo circa due settimane di dieta, entra in gioco un secondo medico che, non conoscendo il tipo di dieta a cui è sottoposto il bambino (perché viene tenuto “cieco” rispetto a questa informazione), valuta la presenza o l’assenza di sintomi di allergia.
Subito dopo si introduce nella sua dieta una polvere irriconoscibile, che può essere o il cibo incriminato o un “placebo”, cioè una sostanza inerte. Sia i genitori del bambino che il secondo medico sono mantenuti “ciechi”, cioè inconsapevoli di cosa viene somministrato al bambino (ecco da dove deriva l’espressione “doppio cieco”). Questo medico dopo due settimane valuta eventuali cambiamenti dei sintomi del bambino.
Successivamente, sempre con le stesse modalità, si introduce l’altra “polvere” e, dopo due settimane, sempre lo stesso medico “cieco”, valuta i risultati.
Tutto questo complicato sistema di prove è necessario per evitare errori nella diagnosi dovuti al preconcetto che possono avere il medico e la mamma se conoscono la dieta assegnata al bambino.
Ebbene, i risultati di queste prove in doppio cieco mettono sempre in evidenza che una grossa percentuale di diagnosi di allergie alimentari sono false. Solo una piccola frazione di bambini (dal 2% all’8%) risulta alla fine effettivamente allergica a un cibo e solo il 10% circa di questi (cioè meno dell’un per cento del totale) è allergico a due alimenti insieme. L’allergia alimentare multipla (cioè a molti alimenti contemporaneamente), cosa diagnosticata ahimè con grande frequenza e faciloneria in questo paese, è una rarità estrema.
Prove alternative di intolleranza ai cibi
Come se non bastasse l’approssimazione e la leggerezza con cui molti medici tradizionali diagnosticano le allergie ai cibi e sottopongono moltissimi bambini a inutili sacrifici dietetici, da qualche anno sono apparse anche le prove di intolleranza delle medicine “alternative”, prime fra tutte quelle della medicina omeopatica.
Ebbene, provate a leggere con spirito critico la descrizione di un “autorevole rappresentante” di questo tipo di medicina. Spero riusciate a cogliere la sua irrazionalità quasi infantile. Le prove che egli elenca non hanno il benché minimo fondamento scientifico, cioè nessuna ricerca ha mai dimostrato la loro validità. Anche se alcune affermazioni degli omeopatici (come “l’allergia è una naturale difesa dell’organismo” o “terapia di sostegno immunologico”, o “la dieta si basa sul principio di ‘pulizia’ dell’organismo”) sono molto seducenti per i non esperti e possono confondere e affascinare, vi consiglio di conservare uno spirito scettico e razionale.
La medicina alternativa si pone nei confronti dell’allergia considerandola come una naturale difesa dell’organismo. Gli sforzi di omeopati e naturisti sono, quindi, indirizzati a rinforzare le difese immunitarie del bambino più che a curare la manifestazione allergica. Questo non vuol dire, però, che in caso di sintomi gravi non vengono utilizzati farmaci, bensì che un’eventuale terapia farmacologica per la medicina alternativa è associata a una terapia di sostegno immunologico.
Una terapia di sostegno immunologico che si fonda su due procedimenti:
- la diluizione dell’allergene che comporta l’assunzione in gocce per bocca di quantità minime della sostanza verso la quale il bambino presenta l’allergia allo scopo di aumentare la tolleranza dell’organismo;
- la somministrazione di minerali, sempre per bocca, come manganese, zinco e rame carenti oggi nell’alimentazione dei bambini e capaci di ridurre la reazione allergica.
Individuare l’alimento o la sostanza responsabile della manifestazione allergica anche in questo caso è alla base di ogni cura.
Per fare ciò la medicina alternativa si affida a due procedimenti: la dieta e i test diagnostici.
La dieta si basa sul principio di pulizia dell’organismo nel quale introdurre gli alimenti gradatamente (dieta di eliminazione) o a rotazione (dieta di rotazione).
(Nota di R. A.: le diete ad eliminazione e a rotazione sono state abbandonate dall’allergologia ufficiale perché inutili).
Il tempo di riposo e quindi il periodo in cui il bambino non mangia l’alimento che gli provoca allergia, consente di diminuire l’intensità della reazione e ottenere una maggiore tolleranza all’alimento.
Tra i numerosi test non convenzionali i più diffusi sono:
- Il test Dria che evidenzia una variazione dello sforzo muscolare in seguito alla somministrazione di un alimento. Il bambino viene fatto sedere su uno speciale seggiolone, quindi gli viene legata una caviglia con una cinghia collegata a un computer e gli viene chiesto di contrarre il muscolo della coscia. Durante la contrazione gli viene messo in bocca, sotto la lingua, una soluzione dell’alimento sospetto. L’intolleranza all’alimento viene segnalata dal computer che registra una variazione nella contrazione del muscolo della coscia. Poiché per questo test è necessaria la collaborazione del bambino, è consigliato verso i cinque anni. I vantaggi che portano a scegliere queste test sono tre: non è cruento in quanto non prevede tagli sulla pelle o iniezioni, non ha effetti collaterali e, soprattutto, è veloce (basta un¹ora per testare oltre 30 alimenti).
- Il test muscolare kinesiologico è un altro strumento che correla lo sforzo muscolare alla reazione allergica. In questo caso il cibo, oltre che messo in bocca, può essere fatto tenere in mano o si può chiedere al bambino di pensare all’alimento. L’esaminatore fa fare uno sforzo muscolare specifico e verifica se il muscolo ha una perdita di potenza. In caso positivo si stabilisce che l¹alimento testato è responsabile di allergia. Questo test presenta gli stessi vantaggi del test Dria e quindi è veloce, pratico e non prevede taglietti sulla pelle.
- Il test citotossico a differenza degli altri si base su un’analisi del sangue. Il sangue viene messo in contatto con una serie di sostanze alimentari che in caso di allergia causeranno dei rigonfiamenti nei granulociti (un tipo di globuli bianchi) visibili al microscopio. Il vantaggio consiste nel fatto che può essere utilizzato anche per bambini molto piccoli. I tempi sono un po’ più lunghi a causa dell’analisi di laboratorio (esame del sangue).
- Il test di riflesso del polso di Nogier segnala l’esistenza di particolari riflessi dell’organismo che possono essere messi in relazione con le sue variazioni di energia. Questo vuol dire che mettendo l¹alimento sospettato di provocare allergia a contatto con la pelle del bambino si avvertirà un’accelerazione delle pulsazioni nel polso. I vantaggi di questo test sono la velocità di esecuzione e l’immediatezza dei risultati.
- I test elettrodermici come il Vega test segnalano la capacità della pelle di condurre energia. In questo caso un circuito elettrico nel quale è inserita una fialetta con l’alimento, viene messo a contatto con la pelle del bambino attraverso degli elettrodi. Le variazioni elettriche indicano la presenza di un’allergia o intolleranza all’alimento. Un test veloce che, però, solleva qualche dubbio anche nei medici specializzati in medicina alternativa.