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I° CAPITOLO – QUANDO NOSTRO FIGLIO SI LAMENTA CON NOI
“Il professore di matematica mi ha preso in giro in classe…”
tentiamo di indovinare cosa ha provato:
“Deve essere stato umiliante per te, di fronte a tutta la classe. Avresti voluto sparire, vero?” e ancora:
“Che rabbia non poter rispondere per le rime al professore, eh?!” Salta subito all’occhio che queste due frasi rappresentano un atteggiamento assolutamente diverso dal solito. In questo modo diamo a nostro figlio la sensazione che stiamo tentando di metterci nei suoi panni e che, invece di negare il suo stato d’animo, vogliamo capirlo e accettarlo. Ebbene, questo è l’atteggiamento che Carl Rogers ha definito “riguardo positivo e incondizionato”.. In altre parole per il genitore qualsiasi sentimento del figlio, anche il più “sciocco” e “incomprensibile” è invece legittimo, rispettabile e accettabile.
L’ascolto Attivo:
1°. Innanzitutto, invece di negare immediatamente lo stato d’animo di nostro figlio, facciamo attenzione ad ascoltarlo e a percepire bene ciò che dice.
2°. In secondo luogo cerchiamo di metterci nei suoi panni e, rifacendoci alle nostre stesse esperienze, interpretiamo, quasi decodifichiamo, il suo messaggio.
3°. Infine diamogli la dimostrazione concreta che lo stiamo davvero ascoltando e che abbiamo capito e accettato il suo stato d’animo. Ma come? Descrivendogli con precisione, senza commenti o critiche, ciò che abbiamo intuito. … ecco un esempio: la storia di Fabio Malgrado le continue raccomandazioni della mamma, Fabio, a cui piace la matematica, persiste comunque nel suo atteggiamento di sfida all’insegnate, con la quale fa da tempo una lotta di potere. Alla fine del quadrimestre il bambino torna da scuola evidentemente abbattuto, con gli occhi rossi di pianto. La ragione è che il suo voto in matematica è insufficiente. Dina (la mamma).. si impone di restare in silenzio per qualche secondo. Poi gli dice: “Che peccato! Quel voto dev’essere stato una grande delusione per te. E dire che la matematica è proprio il tuo forte!”
Fabio, abituato a ben altre reazioni, guarda Dina un po’ meravigliato, come preso di contropiede. Poi, evidentemente sollevato e senza dire altro, le dà un bacio e lascia la stanza.
Qualche settimana dopo a scuola è giorno di colloquio con gli insegnanti e Dina ovviamente parla con la professoressa di matematica. Questa esordisce subito dicendo: “Ma cosa è successo a suo figlio? Da un po’ di tempo non è più polemico, collabora, non disturba i compagni…”
II° CAPITOLO – MESSAGGI-TU E MESSAGGI-IO
Esiste un modo più opportuno di quelli consueti per esprimere ciò che sentiamo
Manifestare apertamente i propri stati d’animo, i propri ideali, le proprie preferenze ai figli è molto positivo: ci fa apparire più autentici ai loro occhi, meno chiusi nel nostro ruolo di genitori, ci conferisce credibilità e autorevolezza. Tuttavia, questi effetti dipendono anche da come ci esprimiamo… dirgli per esempio:”Sei bravissimo, un vero angelo!, oppure, al contrario: “Sei sempre così pasticcione, mi fai proprio arrabbiare!”ha come soggetto un TU a cui il genitore attribuisce una qualità positiva o negativa (buono, bravo, pasticcione, cattivo…) o fa un’accusa (fai sempre così… mi fai arrabbiare in continuazione…!).. (messaggio-TU) .nelle stesse situazioni di prima, se ci esprimessimo invece così: ” Sono molto contento quando mi aiuti a pulire. Mi dai un bel sollievo!”, oppure: “Odio quando sporchi per terra, perchè sono costretto a pulire io”.. il soggetto sarebbe un IO (il genitore). (messaggio-IO)… è difficile che il messaggio-Io suoni come un giudizio o un insulto. E’ molto più probabile che metta il figlio che lo riceve nella condizione di capirci meglio. Lo incoraggia dunque a immedesimarsi nella nostra situazione e ad essere più disposto ad ascoltare ed eventualmente a collaborare con noi. ..Possiamo parlargli della morte?
La mamma di Francesco, un bambino di quasi tre anni, è venuta a chiedermi consiglio su come comportarsi con lui dopo la tragica morte del marito in un incidente di motocicletta..ho esortato questa mamma a dire al più presto la verità al bambino con parole semplici e concrete e rispondendo a tutte le sue domande con la massima sincerità.
III° CAPITOLO
Un bene molto minacciato dunque, l’autonomia dei figli.. Ed è questo, a mio avviso, il motivo principale per cui, particolarmente nella nostra cultura (rispetto per esempio al nord Europa), i giovani trovano così difficile lasciare la casa di origine al momento opportuno e trovare un lavoro e una vita propria.qual’è il momento opportuno per iniziare a spingere un figlio verso l’indipendenza?.. 1. Non è mai “troppo piccolo”.
2. L’autonomia e l’ascolto attivo.
3. Offriamogli la canna da pesca, non il pesce.
4. Mettiamo in risalto le cose che sa fare e non quelle che non gli riescono bene..
5. Insegnamogli un metodo per risolvere i problemi..
L’ideale sarebbe che imparassimo a vedere nostro figlio, per quanto piccolo, come un individuo distinto da noi. Bisognerebbe dunque permettergli di possedere i suoi sentimenti e i suoi problemi e, per quanto possibile, lasciargli trovare le proprie soluzioni, evitando di imporgli le nostre.
IV° CAPITOLO ..COME FARSI ASCOLTARE DAI FIGLI
È un errore fondamentale rimandare a lungo l’imposizione di regole e limiti, nel timore che un bambino nei primi anni di vita sia ancora troppo piccolo per tollerarli. Mi sono fermamente convinto che invece sia indispensabile farlo presto e che siano i genitori (e non altri) i più indicati a cominciare
La “bambina che non si accontenta mai” Ed ecco cosa avrei dovuto fare io quando portavo mia figlia ai grandi magazzini e lei mi chiedeva di comprarle tutto ciò che la attirava. All’ennesima richiesta avrei dovuto forse dirle con fermezza: “No, non posso soddisfare tutte le tue richieste” Lei forse allora avrebbe detto piangendo: “Dai, solo questo e poi basta!” Io, con comprensione, ma sempre con fermezza: “Mi dispiace deluderti, ma se ti compro sempre tutto quello che vuoi spreco danaro e perdo molto tempo” La piccola, forse piangendo disperatamente: “Ma questo mi piace tanto, papà!” Io, sempre con lo stesso tono: “Lo so, ti dispiace rinunciarci. Ma io desidero mantenere la mia decisione!” Lei, evidentemente abituata a ottenere ciò che voleva, avrebbe quasi sicuramente insistito urlando, mentre la gente guardava: “Sei cattivo papà. Non mi compri mai niente!” Io, sicuramente imbarazzato e irritato, avrei dovuto prenderla per mano ed uscire dal negozio dicendole: “Basta, sono molto arrabbiato perché insisti e mi metti in imbarazzo. Così sono costretto a riportarti a casa! E’ questo che vuoi?” Immagino che lei, a questo punto rassegnata, ma ancora in preda ai “sospiri” che seguono di solito un pianto accorato avrebbe forse detto finalmente: “No..” Io dunque, pur sentendomi maledettamente in colpa: “Bene allora, rientriamo. Ma è chiaro che non ti comprerò altro, va bene?!” E lei, forse: “Va bene…” .
“I cinque comandamenti per farsi ascoltare”.
I° comandamento: usa i messaggi-Io, punta il riflettore su te stesso
II° Comandamento : Spiega le ragioni concrete..
III° Comandamento: ascolta per farti ascoltare (il cambio di marcia).
IV°Comandamento: Sii assertivo
V° Comandamento: previeni i motivi di contrasto
Il “Problem Solving”: la diplomazia per risolvere i conflitti
Per affrontare opportunamente i “conflitti fra bisogni” che si ripropongono in continuazione fra genitori e figli è opportuno partire da un paio di presupposti fondamentali. Prima di tutto è necessario che noi genitori impariamo a riconoscere questo tipo di conflitti quando ci si presentano e che poi ci apriamo alla necessità di un negoziato. Infine è indispensabile fare in modo che un eventuale accordo soddisfi sia i nostri bisogni che quelli dei figli. Dicendola con Thomas Gordon, perchè il conflitto possa considerarsi effettivamente superato, non devono esserci nè vincitori nè vinti, ma ambedue, genitori e figli, devono sentirsi vincenti. Ma come raggiungere questo obbiettivo? Possiamo provarci con il metodo più democratico che esista: il “problem solving”..
V° CAPITOLO – COSA SON O I “CONFLITTI FRA VALORI”?
I conflitti fra valori sono i contrasti fra genitori e figli su questioni di principio o di gusto, come su che vestiti portare, su come acconciarsi i capelli, su che atteggiamento prendere sulla pena di morte ecc..
I° Comandamento: Spieghiamo con chiarezza e convinzione il nostro punto di vista e ascoltiamo con pazienza e comprensione quello dei figli..
II° Comandamento: non facciamo prediche e non ripetiamoci..
III°Comandamento: curiamo la nostra credibilità, dando innanzitutto il buon esempio.. IV° Comandamento: Lasciamolo libero di decidere e teniamoci pronti ad accettare che non cambi idea..
Cosa sono i “conflitti di responsabilità”?
I “conflitti di responsabilità” sono i contrasti che si determinano quando i figli, pur non creando un disagio o un danno immediato a noi, mettono in pericolo la propria salute, la propria incolumità o il proprio futuro sociale (per es. girano in motorino senza casco, fumano, non frequentano la scuola, ecc.) contrariamente a Thomas Gordon che include questo secondo tipo di situazioni nei “conflitti di valori”, io ho creduto più opportuno chiamarle invece “conflitti di responsabilità” e affrontarle con approcci sostanzialmente diversi
I comandamenti per gestire i conflitti di responsabilità
I°comandamento: Sii innanzitutto onesto e preciso..
II° comandamento : Offri spiegazioni “scientifiche”.
III° Comandamento: Dai il buon esempio.
IV° comandamento: piuttosto che criticare un figlio in continuazione per i suoi atti “irresponsabili”, fagli notare quando si comporta con cautela e saggezza.
V°comandamento : non intervenire a proteggerlo quando i rischi sono accettabili.
VI° comandamento : per i più piccoli previeni, per quanto possibile, le occasioni di rischio.
VII° comandamento : Intervieni quando il rischio ti sembra eccessivo.
considero ideale insomma che, al raggiungimento della maggiore età (a 18 anni), al contrario di quanto succede troppo spesso nella nostra cultura, egli abbia acquisito interamente la responsabilità per se stesso..
VI° CAPITOLO
La gelosia del più grande: le sue paure, le sue aggressioni
Il primo atto di ostilità che la mia primogenita (di quattro anni) compì verso la sorellina nata da pochi giorni fu di infilarle in bocca un chicco di uva passa. Ce ne accorgemmo con allarme, io e mia moglie, perché la piccola succhiava rumorosamente, mentre la grande la osservava divertita ..Un giorno che la mamma la rimproverò: “Ma perchè fai piangere la tua sorellina?!” lei rispose inviperita: “Riportala in ospedale, non la voglio!” La “gelosia” del più grande è soprattutto paura e come tale va trattata.. .Ricordo che riguardando le foto scattate dopo la nascita della secondogenita, mi resi finalmente conto della grande sofferenza che la maggiore aveva provato in quel periodo..
..Negare i suoi sentimenti o fare paragoni peggiora il suo disagio..
..Non conviene esagerare con gli interventi in difesa del più piccolo.
..La fase acuta dura un anno, poi…
La gelosia del più piccolo e il suo senso di inferiorità…
..Ricordo per esempio il senso di inferiorità che la mia secondogenita manifestava di fronte ai successi scolastici o ‘artistici’ della grande. La sua gelosia, diversamente da quella della prima, consisteva nel timore di non riuscire a conquistare la stessa ammirazione che ci suscitava la primogenita e quindi di non meritare mai altrettanto amore.
..Le mostravo così di capire il senso di inferiorità che provava nei confronti della sorella più grande e, piuttosto che negarlo, lo accettavo; atteggiamento questo che la consolava molto di più di tutte le rassicurazioni che avevo tentate fino a quel momento. Con questo non potevo ovviamente cambiare il fatto che fra lei e la sorella esistevano comunque quattro anni di differenza e che quindi, almeno fino all’età adulta, avrebbe ancora avuto molte occasioni di sentirsi inferiore..
“Papà, lei mi picchia !” : le loro liti e i nostri interventi..
L’arbitraggio e le punizioni non mettono i figli d’accordo..
I°: Se possibile, non intervenire affatto
II° Se necessario, intervenire a dividerli, ma senza prendere le parti di nessuno dei due
III° Insegnare loro il metodo più efficace per risolvere i conflitti : il “problem solving”
IV° Non diamo ad ambedue parti uguali; diamo a ciascuno secondo i suoi bisogni.
Appendice
A un anno: il piccolo, pericoloso esploratore…
I “terribili due anni”..
Tre-sei anni. Le timidezze..
Otto-dieci anni. L’età dell’ipocondria..
Dai quattordici ai diciassette anni. L’età dell’addio…